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Vivi e lascia morire: l’ipocrisia dell’Occidente secondo Michel Foucault. Aveva predetto la crisi dei rifugiati?

Nel marzo del 1976, il filosofo Michel Foucault aveva descritto l’avvento di una nuova logica di governo delle società liberali occidentali. La chiamò biopolitica. Gli Stati stavano diventando ossessionati con la salute e il benessere delle loro popolazioni.

E infatti,  40 anni dopo, gli stati occidentali si occupano e preoccupano sempre più di promuovere il cibo sano, vietare il tabacco, regolare l’assunzione di alcool, prevenire il cancro al seno, diffondere informazioni sulle probabilità di rischio di questa o quella malattia.

Foucault non ha mai detto che questa fosse una cattiva abitudine: salvava vite umane,  dopotutto. Ma aveva avvertito che prestare così tanta attenzione per la salute e la ricchezza di una popolazione portava all’esclusione di coloro che non avevano diritto a questo programma di massimizzazione della salute.

La biopolitica è quindi la politica del vivi e lascia morire. Quanto più uno stato si concentra sulla sua popolazione, tanto più crea le condizioni che rende possibili la morte degli altri, “esponendo le persone alla morte, aumentando il rischio di morte per alcune persone”.

Questo paradosso non è mai stato tanto evidente come nella crisi che ha visto centinaia di migliaia di persone ricercare asilo in Europa nel corso degli ultimi anni. È sorprendente vedere le società europee investire così tanto in salute nelle proprie case e, allo stesso tempo, erigere barriere giuridiche e materiali per tenere a bada i rifugiati, contribuendo attivamente ai decessi umani.

Il conflitto in Medio Oriente è una guerra mortale. La maggior parte delle stime affermano che solo in Siria sono state uccise 300.000 persone. Oggi alcune delle più grandi città siriane sembrano molto simili a Stalingrado nel 1943.
Inevitabilmente, la gente scappa – come facevano i belgi che avevano abbandonato il loro Paese nei primi anni della prima guerra mondiale. Un’emigrazione inevitabile semplicemente perché la vita normale è diventata impossibile nella maggior parte del paese, e continuerà così finché ci saranno persone che vivono in quelle regioni dilaniate dalla guerra. La Giordania – un paese con poco meno di 10 milioni di abitanti – ospita attualmente più di un milione di profughi. La Turchia ne ospita quasi due milioni.

Di fronte a questo disastro cosa fanno l’Unione europea e i suoi stati membri? Esattamente quello che Foucault ha predetto.

Progettano politiche di esclusione, affinché i rifugiati non arrivino, e inviano segnali di dissuasione sempre più chiari.

L’Austria ha unilateralmente fissato delle quote sul numero di richiedenti asilo che ogni giorno verranno accettati al suo confine. Il primo ministro francese Manuel Valls ha annunciato che la Francia e l’Europa “non possono accettare più rifugiati”. Il suo paese inizialmente aveva accettato di ricevere 30.000 rifugiati in due anni.

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Sempre in Francia, le autorità stanno distruggendo parti degli insediamenti vicino a Calais, dove i migranti (molti dei quali bambini) vivono in condizioni spaventose. In Danimarca, la polizia ha permesso il sequestro degli oggetti di valore dei rifugiati, privandoli di quasi tutto quello che resta di loro proprietà. La Slovacchia vuole solo accogliere i rifugiati siriani cristiani, e non più di 200. Nel frattempo, il Regno Unito è sempre più preoccupato di “riconquistare la sovranità della sua frontiera” (anche se non è nella zona Schengen). Il Belgio ha sospeso la propria partecipazione a Schengen e reintrodotto i controlli alle frontiere.

Gli Stati occidentali stanno costruendo una politica di controllo delle frontiere sempre più mortale importando tecnologie militari per la progettazione di sofisticati sistemi e recinzioni invalicabili in Grecia, Bulgaria o nelle enclave spagnole in Marocco. Questo crea veramente le “condizioni che rende possibile la morte degli altri”.

I Siriani sono abbandonati al loro destino: lottare in Siria o intraprendere percorsi ad alto rischio verso un luogo sicuro, ma completamente sigillato.

 

By The conversation

 

(Traduzione di Maria Murone)