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La nostra vita di donne dell’Isis a Raqqa

Raqqa è oggi ampiamente conosciuta come l’auto-dichiarata capitale del califfato dello Stato Islamico e come il centro degli attacchi aerei in cerca di vendetta dopo i recenti attacchi terroristici del gruppo jihadista. Tuttavia la città siriana viene descritta in maniera totalmente diversa da tre giovani donne sul New York Times, in un bellissimo articolo di Azadeh Moaveni. Qui le tre siriane ricordano le loro esperienze a Raqqa prima dell’arrivo dell’Isis e subito dopo, sottolineando come i  jihadisti abbiano completamente stravolto le loro vite.

La loro vita “normale” la ricordano nelle immagini che custodiscono nei cellulari: scene di feste, in piscina, costumi da bagno, ballando nell’acqua. E ancora gite in campagna, giornate in riva al lago. Hanno studiato all’Università: letteratura inglese, economia e commercio. C’è chi proviene dalla classe media, chi è figlia di contadini. Aws ha divorato i libri di Agata Christie, Asma è appassionata di Ernest Hemingway e Victor Hugo. Parlano un po’ inglese. Una di loro ascolta gli Evanescence. Raccontano delle loro lunghe passeggiate a Qalat Jabr, sul Lago Assad; il caffè a Al Rasheed Park; e il Raqqa Bridge, dove si poteva vedere la città con le luci della notte.

Tutte e tre appartenevano ad una generazione di donne siriane che stava conducendo una vita più indipendente rispetto al passato. Frequentavano liberamente giovani uomini, socializzavano e studiavano insieme in contesti religiosi anche differenti.  Cera anche più rilassatezza nell’abbigliamento: molte giovani donne vestivano sportive, scoprendo braccia e ginocchia in estate e truccandosi. E mentre le residenti più conservatrici indossavano il velo, c’era chi andava al college e si sposava più tardi, scegliendo liberamente il proprio coniuge.

La rivolta contro il governo del presidente Bashar al Assad che infiammò nel 2011, sembrava lontana da Raqqa. E anche se c’era chi cominciò ad unirsi ai gruppi anti Assad, tra cui il Fronte Nusra e ciò che è ora lo Stato islamico, il tessuto della vita sembrava intatto.
All’inizio del 2014, tutto cambiò. Lo Stato islamico prese il pieno controllo di Raqqa e fece della città il suo centro di comando, con violenza, consolidando la sua autorità. Coloro che hanno resistito sono stati arrestati, torturati o uccisi. Lo Stato Islamico cominciò ad essere conosciuto come ISIS e ISIL. Ma a Raqqa, gli abitanti cominciarono a chiamarla Al Tanzeem: l’organizzazione. E fu subito chiaro che ogni possibilità di sopravvivenza, dipendeva totalmente dal gruppo.
Così come i combattenti stranieri e altri volontari rispondendo alla chiamata alla jihad, diventarono i protagonisti della comunità a Raqqa, i siriani si trasformarono in cittadini di seconda classe. 
Dua, Aws e Asma sono state, nonostante tutto, tra le più fortunate: la scelta di unirsi era a loro disposizione. E ciascuna ha scelto di barattare la propria vita, il lavoro e il matrimonio, con l’Organizzazione.

Nessuna di loro sottoscrisse quell’ideologia estrema, e ancora oggi costrette a fuggire e a nascondersi nel sud della Turchia fanno fatica a spiegare cosa le ha portate a sacrificare le proprie vite filo occidentali e a piegarsi alla dubbia moralità dello stato islamico. Al momento sembrava la via giusta, sposare i combattenti per tenere le loro famiglie in vita e aderire alla Brigata Al Khansaa, l’unità di polizia femminile. Fino a quando tutto si tramutò in orrore per la comunità che amavano e che si stava lacerando.

Ognuno di loro, ogni abitante, maturò la convinzione che la fuga era l’ultima occasione per rimanere in vita. Iniziò il flusso dei siriani che abbandonarono il paese, lasciando un vuoto che si riempiva di stranieri che non avevano nulla della Siria nel cuore. 

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Eppure le giovani donne che avevano sposato i combattenti erano state più fortunate di altre costrette a stare con uomini che abusavano di loro o di quelle della minoranza di  Yazidi, che venivano contrabbandate in città come schiave per altri combattenti. Ma i giorni cominciarono a diventare di un vuoto insopportabile. Impossibile trovare un libro e le fiction erano bandite.
Aws aveva sempre desiderato un bambino, ma Abu Muhammad, suo marito, le aveva chiesto di prendere la pillola, ancora disponibili nelle farmacie di Raqqa. Questo perché eventuali nuovi padri sarebbero stati meno inclini a svolgere missioni suicide se avessero avuto dei figli.
Questo è stato uno dei momenti più devastanti per Aws che comprese che non ci sarebbe stata più la normalità o altra scelta se non quella di avere un terzo partner nel suo matrimonio, là in camera da letto, lo Stato Islamico. 

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Le donne cercarono di razionalizzare il loro arruolamento nella polizia femminile, come una scelta logica dettata dalla vicinanza a quel tipo di partner e ad una famiglia che si era già inginocchiata allo Stato Islamico. Intanto la Siria diventava morte. 
Le forze di Assad prendevano di mira i civili, spazzando via le loro case nel mezzo della notte e brutalizzando gli uomini di fronte alle loro mogli, e i combattenti non  avevano altra scelta che rispondere con altrettanta brutalità, spiegano ancora le tre donne.
Asma rimase sconcertata quando vide arrivare donne straniere dall’occidente pronte ad abbracciare così allegramente una vita che a loro stavano minando ogni giorno. 15isiswomen-web5-articleLarge

Poi iniziarono le lapidazioni di due donne per adulterio, persone accusate di tradimento appese nella  piazza principale vicino alla torre dell’orologio, decapitazioni. In realtà hanno viste solo le teste, solo quelle si vedevano, dice una di loro. “Bene, è vietato nell’Islam mutilare i corpi.” “Ho visto i corpi che giacevano in strada per una settimana intera.”

Dua racconta di quando suo marito Abu Soheil si era fatto saltare in aria in una battaglia contro l’esercito siriano a Tal Abyad, al confine con la Turchia. Il comandante le disse che Abu Soheil aveva chiesto una missione suicida. Lui non le aveva mai parlato di un tale piano. La moglie di un martire. Ma giorni dopo, aveva scoperto che Abu Soheil si era ucciso in un’operazione non contro l’odiato esercito siriano, ma contro un gruppo di ribelli concorrente.”Ho pianto per giorni,” ha detto. “È morto combattendo altri musulmani.”
Dopo solo 10 giorni le dissero che doveva sposare un altro uomo.  Anche in questo caso, l’Organizzazione interpretava la legge islamica secondo i propri desideri. Sotto interpretazioni quasi universali dell’Islam, una donna deve attendere tre mesi prima risposarsi, soprattutto per stabilire la paternità di ogni bambino che potrebbe essere stato concepito.
“Gli ho detto che io ancora non riuscivo a smettere di piangere”, spiega Dua. “Ho detto che avevo il cuore spezzato e volevo aspettare  tre mesi”. Ma il comandante le disse che era diversa da una vedova normale. “Non dovresti essere
il lutto e triste”, ha detto. “Ha chiesto il martirio egli stesso, e tu sei la moglie di un martire. Dovresti essere contenta”. Fu in quel momento che si ruppe qualcosa. E così anche per le altre che progettarono la fuga. Faticosa anche questa. Ma necessaria.

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Ora nel sud della Turchia dove hanno trovato riparo temono per le loro famiglie. “Chissà quando si fermeranno i combattimenti?”, si chiede Asma. “La Siria diventerà come la Palestina; ogni anno la gente pensa che presto finirà e saremo liberi. Sono passati decenni e la Siria è una giungla ora. Anche se un giorno le cose andranno meglio, non potrò mai tornare a Raqqa. Troppo sangue è stato versato su tutti i fronti, non sto parlando solo dell’ISIS, ma di tutti”.